giovedì 24 febbraio 2022

Spesso invariati restano anche, ed è altrettanto decisivo, i dirigenti della radio


Le continuità nella radiofonia e nell’industria editoriale italiana a cavallo della guerra non sono difficili da dimostrare. In effetti, se si sfogliano i numeri del Radiocorriere, organo ufficiale della Rai che prosegue la pubblicazione dalla Milano occupata dai tedeschi fino al 29 aprile 1945, e riparte dopo una breve pausa nel gennaio del 1946 (unificando l’edizione del Nord e quella del Centrosud nel 1947), <21 l’unico segno di rottura apparente è la sparizione della propaganda contro americani ed inglesi. Le orchestre che affollano il palinsesto sono le stesse, e così i direttori che le dirigono, e la musica che suonano. Il ventennio fascista alla radio sembra allora allargarsi fino a diventare un «Trentennio», (Fabbri 2015a), che si estende dal 1928 (il primo anno di attività dell’Eiar) fino al 1958, l’anno della vittoria di Modugno al Festival di Sanremo, e del boom del microsolco.
Una figura emblematica di questa continuità è quella di Mauro Ruccione, già autore di «Faccetta nera», «La sagra di Giarabub», «Camerata Richard», e «Tacete!» (bastino, in questo caso, i titoli). Negli anni cinquanta Ruccione crea un «sedicente Fronte nazionale per la difesa della canzone italiana» (Salvatore 1998, p. 331) e si schiera a favore delle «più belle tradizioni canore del nostro Paese» in una lettera aperta a Sorrisi e canzoni. <22 Soprattutto, rimane in attività come uno degli autori di maggiore successo, e fra più tipici, della canzone italiana, con brani come «Serenata celeste», «E la barca tornò sola», e «Buongiorno tristezza» (che vinse a Sanremo nel 1955). Spesso invariati restano anche, ed è altrettanto decisivo, i dirigenti della radio, a partire da Giulio Razzi, «forse il singolo attore di maggior rilievo» nel passaggio da Fascismo a democrazia (Fabbri 2015a, p. 232): direttore dei programmi dell’Eiar e poi della Rai e, in seguito, estensore del regolamento del primo Festival di Sanremo.
La tesi della continuità delle istituzioni nel passaggio dal Fascismo al dopoguerra non è una novità in ambito storiografico (Pavone 1995), e riguarda in particolar modo la radiofonia.
La nuova Rai nasce dal compromesso fra la necessità di mantenere la struttura amministrativa e tecnica dell’era fascista, e la «subordinazione diretta al potere esecutivo» (Ortoleva 1993, p. 462), che finisce quasi subito con l’avvantaggiare la DC. È quasi naturale, allora, che la Rai divenga uno strumento dell’azione anticomunista e della creazione del consenso: <23 la Democrazia Cristiana mette le mani sull’ente radiofonico già nel 1945, quando il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni del primo governo De Gasperi viene affidato a Mario Scelba.
Se la continuità gestionale dell’ente radiofonico non viene mai messa in dubbio, nel 1947 si avvia comunque una riorganizzazione con l’insediamento di un Comitato per le direttive di massima culturali e una Commissione parlamentare di vigilanza.
Dopo le elezioni del 1948 è facile per la DC consolidare un controllo già esercitato nei fatti. Fin dall’anno seguente si insedia la Commissione di lettura per la musica leggera, poi Commissione d’ascolto (Fabbri 2015a, p. 239; Bonato 2007-2008), che esprime pareri vincolanti su cosa può e su cosa non può essere trasmesso, e il cui influsso sulla produzione musicale nazionale rimane ancora in buona parte inesplorato.
Le politiche dell’Eiar prima, e della Rai poi, in un sistema di monopolio della radiofonia e nel momento che precede l’esplosione del mercato del microsolco, dettano di fatto la linea al settore editoriale.
Si spiega anche così l’omologazione dell’offerta di questi anni, e la grande uniformità dei testi e dei soggetti delle canzoni. Ma il controllo ha conseguenze dirette anche sulla musica. La Rai democristiana diviene protagonista di una politica di «moralizzazione» e di una restaurazione crescente che emargina il repertorio più «moderno» e americano a vantaggio di un «ritorno alla melodia» (Prato 2010, p. 265). Non a caso, quel filone che Salvatore ha definito di «swing all’italiana» (forte di autori come Carlo Alberto Rossi, Gorni Kramer, di interpreti come Natalino Otto, Alberto Rabagliati, Trio Lescano, dell’orchestra di Pippo Barzizza) che aveva trovato i propri spazi durante il ventennio, e che prolunga la sua parabola nei primi anni dopo la Liberazione con il successo del boogie-woogie, perde poco a poco centralità (Salvatore 1998, p. 331), anche nella programmazione radiofonica (Ortoleva 2003, p. 465).
La Rai del dopoguerra, i cui abbonati superano i 5 milioni nel 1954, con un bacino di 18 milioni di utenti, punta decisamente sulla canzone, che un sondaggio del 1946 aveva dato come il genere più gradito (96%; ibidem). Lo permette anche il nuovo palinsesto in tre canali, con la musica colta sempre più relegata nella «riserva» della terza rete (che nasce nel 1950), e con la seconda riservata prevalentemente all’intrattenimento.
È in questo contesto che viene varato, nel 1951, il Festival di Sanremo. Il Festival nasce per iniziativa e all’interno delle politiche promozionali del Casinò di Sanremo, ma la Rai vi viene coinvolta da subito, e contribuisce alla definizione della sua formula.
[NOTE]
21 Sulle vicende del Radiocorriere si veda anche Malvano 2015.
22 Mauro Ruccione, «Lettera aperta di Ruccione alla Rai», Sorrisi e canzoni, a. 4, n. 50, 11 dicembre 1955, p. 3.
23 Sulle modalità di creazione del consenso e i metodi della DC, si veda Crainz 1996.
Jacopo Tomatis, I generi della canzone in Italia: teoria e storia. Dal fascismo al riflusso, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Torino, 2016