sabato 19 febbraio 2022

Gianquinto ribaltò l'accusa di non esser veneziano

Fonte: Ahmed Daoud, Op. cit. infra

A Venezia nel 1946 i comunisti ottennero 40.947 voti, la Dc 55.260, i socialisti 37.069, «Concentrazione democratica» (cioè monarchici e qualunquisti) 6.967, l'«Unione repubblicana democratica» (formata da repubblicani e azionisti) 7.555, i liberali 2.251. I democristiani risultarono la prima forza politica della città con 23 consiglieri eletti, ma fu la sinistra - in coalizione - a vincere, con 17 consiglieri per i comunisti, 15 per i socialisti, 3 per repubblicani e azionisti. I monarco-qualunquisti ottennero 2 consiglieri, mentre a “secco” rimasero i liberali. <497
Il Pci ottenne un risultato importante, diventando il secondo partito della città dopo la Dc, e seguito a brevissima distanza dal Psiup. Nel giro di pochi mesi, alle elezioni per la Costituente i comunisti divennero il terzo partito della città - scavalcati dai socialisti - con una perdita di oltre 6.000 voti rispetto alle amministrative.
Sui consiglieri comunisti eletti la Federazione ebbe qualche osservazione da fare. Infatti tra i primi 17 candidati comunisti - che avevano maggiori possibilità di essere eletti perché la disposizione numerica nella lista rappresentava l'elemento decisivo, dopo le preferenze - solo 11 vennero eletti, mentre gli altri 6 lo furono grazie alle preferenze dei votanti. La Federazione criticò «l'autonomismo» dei compagni di Mestre, perché qui ne furono eletti 7, rispetto ai 4 scelti e indicati dalla Federazione. <498
Fu così che venne eletto Turcato, «per sola volontà di base» come lui stesso ricordò, considerando che nella lista comunista era il numero 29, e che difficilmente sarebbe stato eletto se non grazie alle preferenze della cittadinanza. <499 La fama del compagno “Marco” - considerato da molti il massimo protagonista della Resistenza veneziana, commissario politico della Brigata “Biancotto” e ideatore della “beffa del Goldoni” - era troppo alta per riuscire ad essere oscurata dalle decisioni politiche del partito. La volontà popolare - a volte o spesso - contrastava e non teneva conto di questi “calcoli” elettorali e politici.
Subito dopo le elezioni ci fu una riunione tra socialisti e comunisti per decidere la composizione della Giunta. I comunisti rivendicarono per loro il sindaco, proponendo - com'era prevedibile dato il prestigio che godeva tra i veneziani e considerando che era uno dei massimi dirigenti locali della Federazione - Gianquinto, mentre i socialisti obiettarono che non fosse veneziano. Dopo che i comunisti fecero notare la popolarità e la fama di Gianquinto tra i veneziani, i socialisti rivelarono di non volere un sindaco comunista. Solo dopo quattro riunioni i socialisti cedettero alle richieste comuniste, ma in cambio chiesero un numero di assessori superiore rispetto ai voti ottenuti. Successivamente venne fatta una riunione plenaria, con gli azionisti e i repubblicani, e fu definita la giunta. Per non confinare i democristiani all'opposizione con i qualunquisti, la Federazione comunista - di sua iniziativa e volontà ma d'accordo con gli altri partiti di sinistra - chiese loro di far parte della giunta con alcuni assessorati. I democristiani, però, pretesero di avere per loro il sindaco e quattro assessorati importanti, un atteggiamento ritenuto provocatorio e arrogante, visto che la Dc era in minoranza. Le trattative dunque furono interrotte. <500
Di questa proposta va notata per l'ennesima volta la politica conciliativa e aperta del Pci, che tendeva ad andare in contro alla Dc; mentre quest'ultima ne assumeva una di opposizione e di distanza.
Dopo questi accordi si poté procedere all'elezione del sindaco da parte del Consiglio comunale e alla composizione della Giunta. Qualche giorno dopo si riunì a Ca' Farsetti - sede del Comune - il nuovo Consiglio comunale: Gianquinto venne eletto con 32 voti su 60, mentre Ponti (Dc) ne ottenne 24, Lizier (Dc) 1 e Mezzalira (Pci) 1. <501 La giunta era composta da 12 assessori, 3 supplenti e il Sindaco: gli effettivi erano 3 comunisti (Gianquinto venne incluso tra gli assessori comunisti, anche se non aveva nessun assessorato), 7 socialisti e 2 azionisti-repubblicani; mentre i supplenti erano in totale 3, 2 comunisti e 1 socialista. <502
Francesco Tolomei (Psiup) divenne vice sindaco <503 e assessore agli Affari generali e personali, Arturo Valentini (Psiup) prosindaco per la terraferma, Antonio Beccari assessore alla Polizia urbana e alle Licenze commerciali, Dante Dall'Osso (Psiup) ai Servizi demografici e di Stato civile, Tito De Filippi (Pci) ai Lavori pubblici, Armando Gavagnin (Pda) alla Pubblica istruzione e alla Cultura popolare, Carlo Izzo (Psiup) alle Belle arti, al Turismo e allo Sport, Gino Luzzatto (Pri) alle Finanze, Ferruccio Morterra (Psiup) al Patrimonio, Carlo Olivero (Pci) all'Alimentazione, Ugo Rotelli (Psiup) ai Servizi pubblici, Arcangelo Vespignani (Psiup) all'Assistenza e igiene. I tre supplenti erano Arturo Barbini (Psiup), delegato alla frazione di Murano, Mezzalira (Pci) all'Alimentazione, Orlandini (Pci) al Contenzioso. <504
Fu una giunta con una maggioranza di assessori socialisti. I comunisti dovettero “accontentarsi” di tre assessori per riuscire a costituire la giunta. I componenti del governo locale di Venezia erano appartenenti ai ceti medi (avvocati, medici, professori, commercianti). La componente operaia era praticamente nulla.
La seduta d'insediamento registrò un enorme afflusso di pubblico. Era pieno tutto Ca' Farsetti e le calli adiacenti ad essa (compresa l'opposta Riva del Vin dall'altra parte del Canal Grande). L'elezione di Gianquinto fu accolta da numerosi applausi e gesta di approvazione. Al momento dell'insediamento Gianquinto tenne un discorso in cui venivano ribaditi i punti del programma comunista. “Titta” ci tenne a precisare che la presa del Comune da parte dei lavoratori «non significa però che sia condotta una politica classista. Noi faremo una politica di larga collaborazione e unità». <505
Gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione (operai, contadini, impiegati, artigiani, piccoli commercianti e ceti medi) dovranno essere tutelati. Gianquinto ribaltò l'accusa di non esser veneziano, ritenendosi un veneziano d'adozione e ciò non doveva esser visto negativamente, anzi era l'espressione del sentimento patriottico degli italiani: «Io sono siciliano ma veneziano di elezione. Ho 41 anni dei quali 22 trascorsi ininterrottamente a Venezia. In questo momento in cui […] in Sicilia, si cerca di disgregare l'unità della Patria, l'elezione d'un siciliano a sindaco di Venezia, penso possa esprimere il profondo sentimento nazionale che lega tutti gli italiani». <506
Egli si considerò confortato da quanto detto dagli esponenti della Dc: non avrebbero svolto un'opposizione sistematica e pregiudiziale ma «di controllo e collaborazione». <507
Ponti infatti precisò che «Noi saremo lieti di dare il nostro voto tutte le volte che il nostro programma ed il vostro coincideranno, per il bene della nostra città». <508
Gianquinto confermò la volontà dei comunisti di avere buoni rapporti con i democristiani e di non voler essere in contrasto con loro. <509
L'iniziale (apparente) “poesia” e concordia di intenti e ideali in nome del bene per Venezia, fu sostituita dalla «prosa dei contrasti degli interessi e della politica».
I rapporti si deteriorano sempre di più con il passare degli anni. <510
Subito dopo la sua nomina, Gianquinto si recò al cimitero di S. Michele, per rendere omaggio ai caduti veneziani della Resistenza e delle due guerre mondiali. Ci fu una messa tenuta dal parroco del convento di S. Michele, Remigio Pennello. <511 Poi Gianquinto fece visita al Patriarca Adeodato Piazza, per uno scambio di parole. Il colloquio fu «cordiale», il Patriarca augurò al Sindaco un buon lavoro e l'auspicio di una buona intesa con la nuova giunta. <512 Gianquinto si recò anche a colloquio con il Clnrv, a Palazzo dei Dieci Savi a Venezia. Il Sindaco espose i suoi propositi e piani per la «ricostruzione morale e materiale» della città. <513 Il Sindaco comunista, dunque, volle dare forti segnali anche simbolici, di essere il sindaco di tutta la cittadinanza, aperto e collaborativo con le varie istituzioni della città. <514
Il rapporto con il Patriarca Piazza non fu facile a causa - come abbiamo già avuto modo di vedere - del suo passato considerato da molti filofascista e del suo noto anticomunismo. Gianquinto cercò di calmare gli animi, anche con questi gesti simbolici. <515
Concluse le elezioni, la Federazione pubblicò un comunicato nel proprio settimanale, elogiando e ringraziando le sezioni e i vari organismi di partito per il lavoro svolto durante la campagna elettorale. Questo impegno aveva reso possibile la vittoria socialcomunista, e proprio in continuità con esso doveva essere condotta la campagna per la Costituente.
Quest'ultima, oltre ad essere imperniata sulla propaganda e sul dibattito, doveva coniugarsi con i fatti. Nei Comuni dove si era ottenuta la maggioranza, bisognava adoperarsi per realizzare quel programma presentato alle elezioni amministrative, mentre dove si era in minoranza, bisognava presentare insieme alle altre forze di sinistra delle proposte concrete e urgenti per la popolazione. <516
Casimiro Dubrovich, in un articolo della «Voce del Popolo», analizzò anche la situazione del partito in riferimento alla sua evoluzione interna. Ricordò che rispetto al convegno provinciale dell'agosto del 1945, il numero degli scritti era quasi triplicato. Il consenso e l'influenza del partito tra le masse era confermato dai favorevoli risultati elettorali. Ci fu un notevole attivismo da parte delle sezioni che promossero molte iniziative; molti comunisti si diedero da fare per organizzare convegni e comizi. Altre sezioni, però, scontarono delle deficienze e dei ritardi, a causa della mancanza di «un serio lavoro organizzativo». <517
Fu soprattutto per aiutare e risolvere i problemi di queste sezioni che furono convocati dei convegni per il 7 aprile.
Questi incontri si tennero in tutta la provincia e furono presieduti da delegati della Federazione con la partecipazione dei comitati direttivi delle sezioni, delle sottosezioni e delle cellule. Venne fatto un esame critico delle elezioni amministrative e si cercò di impostare la campagna elettorale per la Costituente, considerata ancora più impegnativa della campagna amministrativa: «È necessario che i compagni si preparino con la massima cura per portare ai convegni un contributo il quale serva a migliorare il lavoro del partito. [...] Dopo una battaglia e specialmente quando ne è in vista una ancora più dura, è buona regola esaminare a fondo come essa si è svolta, fare un bilancio dei successi conseguiti e degli insuccessi patiti, ricercare le cause degli uni per generalizzarle e degli altri per eliminarle […]. Bisogna sottoporre a un severo esame critico tutte le fasi della battaglia, non già per il grado di fare della critica che sia fine a se stessa, ma per poter trarre tutti gli insegnamenti utili a migliorare la propria attività nelle varie fasi della battaglia che si sta per affrontare». <518
Nello stesso articolo dedicato alla Vita di partito venne avanzata una forte critica sulla mancata comprensione, da parte di molti iscritti, del “senso” della militanza comunista; anche se fu notato un miglioramento nell'ultimo periodo: «Nel corso della prima campagna elettorale si è notato un incoraggiante risveglio nell'attività di molte sezioni e di moltissimi compagni. Tanti, ai quali sembrava non si riuscirebbe mai a far comprendere che per essere dei veri militanti comunisti non era sufficiente avere una tessera in tasca e pagare una quota ma bisognava anche svolgere una attività concreta [...] non tutti ancora [...] hanno fatto per il partito quanto potevano e dovevano fare. Accanto a molte sezioni che hanno lavorato sodo, altre hanno continuato a vegetare; accanto a tanti compagni che si sono gettati con tutte le loro forze nella campagna elettorale, altri hanno continuato a far semplice atto di presenza nelle file del partito [...]». <519
Essere comunisti voleva dire essere militanti, lavorare continuativamente e costantemente per il partito e con il partito, essere presenti attivamente nei luoghi indicati dal partito stesso. Era un tentativo per responsabilizzare tutti i compagni, sia i militanti di base che i dirigenti, al loro compito e ai loro doveri.
La dirigenza del partito analizzò anch'essa i dati delle elezioni. Nel verbale della seduta della Dn del 9 e 10 aprile, la vittoria comunista a Venezia fu considerata una sorpresa dove non ci si aspettava di vincere: «Abbiamo ottenuto un successo innegabile a Venezia, un comune che non era mai stato socialista. […] In tutti i capoluoghi del Veneto, tranne Venezia, i socialisti hanno la prevalenza su di noi». <520
La vittoria comunista nella città lagunare, venne ritenuta una sorpresa e una particolarità sia per la superiorità numerica dei socialisti nel Veneto rispetto ai comunisti, sia per la posizione della città in una regione in cui essi si consideravano deboli rispetto alla prevalenza democristiana: «Nel Veneto le cose non sono andate bene […] perché sappiamo che in quella regione, oltre alla debolezza delle nostre organizzazioni, la Democrazia cristiana ha avuto sempre una tradizionale forza» <521.
Il Veneto “bianco” e cattolico, dunque, rispetto ad una Venezia “rossa” e comunista. Il Veneto rappresentava un caso specifico nel panorama politico italiano: qui il predominio della Dc non venne mai messo in discussione dal 1946 al 1987. Risultò sempre la regione con maggior numero di voti per i democristiani rispetto a quelli nazionali. I partiti di sinistra, invece, riscontravano una certa debolezza con una superiorità dei socialisti sui comunisti. Tuttavia, le cose sono più complicate e meno scontate di quanto possa sembrare.
La debolezza della sinistra non fu così scontata e “assoluta”. Pci e Psiup/Psi avevano un loro retroterra elettorale e di consensi, che gli consentì (considerati in maniera congiunta) di ottenere più voti della Dc, ad esempio nella zona che va dal Veneto orientale fino al Basso Veneto, attraversando la provincia di Venezia. <522
 

Fonte: Ahmed Daoud, Op. cit. infra

[NOTE]
497 I comunisti eletti per numero di preferenze furono: G. B. Gianquinto, A. Mezzalira, I. Borin, A. Orlandini, P. Pelizzato, C. Olivero, G. Gaddi, L. Moressa, L. Braicovich, A. Ermolao, N. Sanzogno, S. Riva, T. De Filippi, G. Guadagnin, F. Sivoli, G. Turcato, U. De Bei. Per la Concentrazione democratica: G. Viola di Campalto e A. Marcello. Gli eletti della Dc furono: G. Ponti, P. Lizier, C. Bastianetto, E. Gatto, R. Tommassini, A. Candiani, A. Spanio, M. Grandesso, R. Politeo Zenoni, G. Zuliani, L. Zecchin, G. Pavanini, R. Spinola, A. Regazzo, P. Petragnoli, M. Santi, G. De Piante, I. D'Este, L. Arata, E. Nordio, G. Ferro, P. Leonardi, F. Cherizza. I Socialisti: G. Tonetti, A. Vespignani, A. Valentini, F. Tolomei, U. Vallenari, G. Vecchi, E. Zille, C. Crosara, A. Beccari, D. Dall'Osso, A. Barbini, F. Morterra, C. Izzo, R. De Grandis, U. Rotelli. Infine, l'Unione repubblicana democratica con: A. Gavagnin, G. Luzzatto e U. Contursi. Cfr. Il nuovo consiglio comunale. La proclamazione ufficiale dei 60 neo-consiglieri ha avuto luogo oggi alle 12.30 presso la Corte d'Appello, Gdv, 30-31/3/1946.
498 Federazione comunista di Venezia. Graduatoria degli eletti della lista comunista (60 candidati) nel comune di Venezia, in FiG, Apc, 1946, regioni e province, microfilm n. 111, cit., p. 1403.
499 A. Melinato, Per una biografia politica di Giuseppe Turcato, cit., p. 110.
500 Segreteria della Federazione di Venezia del Pci alla Direzione del Pci, 12 aprile 1946, cit., pp. 1401-1402.
501 S. Distefano, Giobatta Gianquinto, cit., p. 38.
502 Segreteria della Federazione di Venezia del Pci alla Direzione del Pci, 9 aprile 1946, in FiG, Apc, 1946, regioni e province, microfilm n. 111, cit., p. 1399.
503 Nel «Mattino del Popolo» e nel «Giornale delle Venezie», Tolomei veniva indicato con la qualifica di Prosindaco. Probabilmente ci fu un cambio di ruoli con Valentini.
504 S. Barizza, Il Comune di Venezia 1806-1946. L'istituzione - Il territorio. Guida-inventario dell'archivio municipale, Comune di Venezia, Venezia, 1987, p. 67.
505 S. Distefano, Giobatta Gianquinto, cit., p. 38.
506 Ivi, pp. 38-39.
507 Il discorso del compagno G. B Gianquinto nuovo sindaco di Venezia, Vdp, 13/4/1946.
508 L. Pietragnoli - M. Reberschak, Dalla ricostruzione al “problema” di Venezia, in M. Isnenghi - S. Woolf, (a cura di), Storia di Venezia, cit., p. 2233.
509 Il discorso del compagno G. B Gianquinto nuovo sindaco di Venezia, cit., Vdp, 13/4/1946.
510 G. Distefano - G. Paladini, Storia di Venezia, cit., p. 155; L. Pietragnoli - M. Reberschak, Dalla ricostruzione al “problema” di Venezia, in M. Isnenghi – S. Woolf, (a cura di), Storia di Venezia, cit., p. 2233.
511 Il nuovo Sindaco rende omaggio ai figli di Venezia caduti per la Patria e per la libertà, Gdv, 9-10/4/1946.
512 Gianquinto dal Patriarca, ivi.
513 Il Sindaco in visita al C.L.N Regionale, Gdv, 11-12/4/1946.
514 G. Distefano - G. Paladini, Storia di Venezia, cit., p. 155.
515 S. Tramontin, La chiesa veneziana dal 1938 al 1948, cit., pp. 455-466, 485-498; S. Distefano, Giobatta Gianquinto, cit., p. 40.
516 La Segreteria della Federazione Comunista di Venezia, Vita del partito, Vdp, 6/4/1946.
517 C. Dubrovich, Verso nuove vittorie, ivi.
518 Vita di partito, Vdp, 30/3/1946.
519 Ibidem.
520 R. Martinelli - M. L. Righi, (a cura di), La politica del Partito comunista italiano nel periodo costituente, cit., p. 129.
521 Ivi, pp. 128-129.
522 Sul “mito” del Veneto bianco, cfr. C. Fumian, Miti e realtà del Nordest, in C. Fumian - A. Ventura, Storia del Veneto. Il Novecento, Laterza, 2000, pp. 162-170. Sulla forza della Dc e dei partiti di sinistra nel Veneto, cfr. I. Diamanti, Elezioni e partiti nel secondo dopoguerra, in ivi, pp. 121-128, 134.
 


Ahmed Daoud
, “Qualcuno diceva di esser comunista”. La Federazione veneziana del Pci dalla clandestinità alla repubblica tra stalinismo, riformismo, ed elettoralismo (1945-46), Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2011/2012